“Voglio solo questo!”, la selettività alimentare
I vostri figli al momento del pasto fanno i capricci e si rifiutano di assaggiare cibi nuovi? Ecco come dobbiamo comportarci.
Molti genitori nell’esprimere le loro preoccupazioni rispetto al comportamento alimentari dei propri bambini riferiscono di frequente: “Mio figlio fa i capricci! Non mangia niente!”.
Approfondendo il discorso può emergere, tuttavia, che il bambino, in verità, mangia ma che per quelle mamme e quei papà il rifiuto anche solo di alcuni alimenti, corrisponde a “niente”.
La selettività alimentare
Che cosa si intende, allora, con il termine “selettività alimentare”? Alcuni bambini fanno fatica ad accettare particolari cibi, di determinati colori o consistenze, oppure si rifiutano di assaggiare cibi nuovi, manifestando una certa rigidità nelle loro scelte alimentari. Ciò che accade a tavola è un effettivo “braccio di ferro” tra genitori e bambino, fatto di insistenze e rifiuti. La caparbietà del rifiuto di bambini, anche molto piccoli, che si oppongono alla proposta di alimenti in precedenza accettati e mangiati volentieri e con gusto, spesso stupisce e preoccupa le mamme ed i papà.
Sebbene questi comportamenti possano spaventare, la selettività non riguarda necessariamente situazioni patologiche: si tratta di quadri che potremmo definire di “bizzarria alimentare”, in cui i genitori vedono che il proprio bambino è sereno ed affronta con tranquillità tutte le conquiste tranne quelle che riguardano il momento del pasto e il rapporto con il cibo.
Come dobbiamo comportarci?
Ciò che si osserva è che “l’insistenza genera sempre un certo grado di resistenza”: può crearsi, cioè, un circolo vizioso controproducente che, creando un cortocircuito, può condurre ad una forma di rifiuto caparbio o ad un’apparente regressione. In questi casi, la selettività dei cibi può essere la forma con cui il piccolo manifesta un malessere, una fatica o un impasse evolutiva; affinché tale comportamento possa assumere un significato che lo traduca, ad esempio, in una domanda, è necessario che qualcuno lo ascolti e gli dia un senso: è necessario, dunque, che gli adulti non lo considerino solo “un capriccio alimentare”.
Il bambino chiudendo la bocca e vietando l’accesso a ciò che l’altro propone e a ciò che dall’altro proviene, sta provando a segnalare che il vero motivo del suo pianto e del suo rifiuto non è la fame, attraverso il “no” ad alcuni alimenti e rifiutandosi di mangiare, il bambino desidera che l’altro lo ascolti, lo accolga e lo riconosca non solo come un oggetto da nutrire, ma come soggetto.
E’ importante cercare di contestualizzare la protesta alimentare, che riguarda il rapporto del bambino con le regole e le aspettative dei genitori, per poter interpretare e dare un senso al rifiuto alimentare all’interno della storia di quel bambino, di quei genitori e di quella famiglia in particolare.
Dunque come è possibile cercare di alleviare l’atmosfera familiare e far sì che il momento del pasto divenga meno teso? Ridimensionando il braccio di ferro a tavola a volte è possibile che il nodo si sciolga. I bambini, fin da piccoli, devono poter essere accolti e sentirsi rispettati nella loro particolarità, devono poter esprimere i loro gusti alimentari manifestando anche transitori periodi di inappetenza senza incontrare negli adulti insistenze controproducenti, ma piuttosto trovando nelle mamme e nei papà interlocutori disposti ad accogliere e a tradurre in parole ciò che gli sta accadendo.
A cura di
Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus
Via Amedeo d’Aosta 6, Milano
Numero Verde: 800.644.622
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