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Il cibo come momento di convivialità e comunicazione

cibo e convivialità

Da sempre, in diversi tempi e culture, la tavola costituisce un luogo di incontro: tra diversi canali sensoriali, tra il registro del bisogno e quello del piacere, tra disciplina e affettività...

Il cibo e l’atto alimentare, infatti, non svolgono la sola funzione di soddisfare il bisogno fisiologico dell’essere umano ma veicolano messaggi e comunicazioni che, per loro statuto, implicano il soggetto e l’altro.

Fin dall’allattamento, il cibo-latte esiste per il bambino in quanto “oggetto affettivo”, ossia in quanto prima forma di linguaggio, di scambio intimo e privato con la madre e, via via, con il resto del contesto familiare. Durante la poppata, attraverso il contatto corporeo, l’abbraccio, lo sguardo, gli odori, i suoni e le parole che la madre rivolge al bambino, quest’ultimo si nutre di un particolare cibo: il “cibo per il cuore”.

Successivamente, con lo svezzamento, vengono introdotti una serie di elementi, quali il seggiolone ed il cucchiaino, che inaugurano l’ingresso del bambino nella “convivialità”: si segna il passaggio da una modalità di alimentarsi funzionale ed esclusiva ad una più attiva, aperta e rituale.

Anche in questa fase l’atto alimentare si arricchisce di sguardi e vocalizzi che ne rendono esplicito il valore relazionale e comunicativo.

È proprio in virtù delle dimensioni affettive e comunicative che colorano il luogo della tavola che è importante prestare attenzione ai messaggi che il bambino invia attraverso il proprio comportamento alimentare, distinguendo gli aspetti fisiologici da quelle richieste che afferiscono ad altri registri e, quindi, evitando di offrire il cibo come unica soluzione alle richieste del piccolo.

Tra i messaggi che il bambino può inviare all’altro attraverso il proprio comportamento alimentare vi sono anche i primi tentativi di affermare la propria autonomia e soggettività, ad esempio giocando con le posate o scioperando al richiamo genitoriale di andare a tavola senza interrompere di giocare, ossia attuando comportamenti “oppositivi” e “provocatori”.  

Anche in questo caso è importante interpretare il messaggio del bambino, evitando di utilizzare il cibo in modo strumentale, secondo dinamiche ricattatorie, intimidatorie o punitive e, quindi, evitando che la tavola si trasformi da luogo di “convivialità” a luogo di “conflittualità”, dominato da logiche di potere.

L’atto nutritivo, in quanto intreccio di bisogni, affetti e messaggi, implica che ci si nutra sempre alla tavola dell’altro. L’offerta di cibo è, infatti, un invito alla propria tavola che l’altro sollecita ad accettare. La tavola costituisce, dunque, un terreno unico di dialogo per il bambino e per i genitori, all’interno del quale è possibile contenere e rispecchiare i messaggi inviati dal bambino ed esplorare insieme le novità, tra autonomia e protezione.

La tavola come luogo di convivialità offre, in sintesi, l’opportunità unica di “parlare”, insieme, la pappa.

A cura di Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus
Via Amedeo D'Aosta 6, Milano
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