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Imparare una lingua straniera: predisposizione o altro?

Categoria: Bilinguismo
bambina sorriso

E’ corretto parlare di predisposizione o di talento quando si tratta un argomento come l’apprendimento del linguaggio, in primis, e di conseguenza di una lingua straniera?

A tutti noi, infatti, è capitato di dire o di sentire una volta nella vita questa frase: “ma mio figlio non è portato per le lingue …”, paragonando l’apprendimento di una lingua straniera allo studio di una materia scolastica come la matematica o la geografia.

Facciamo quindi un passetto indietro...

Abbiamo già detto che tutti i bambini portano in sé fin dalla nascita la capacità innata ad apprendere una lingua, che sia la propria o una straniera e che il cervello umano può gestire più di una lingua permettendo al bambino appena nato di riconoscere e riprodurre a momento debito i suoni di più lingue senza sforzi, così come imparerà a camminare e poi a parlare, in maniera naturale e implicita. Se consideriamo i bambini adottati, per esempio, la maggior parte di loro acquisiscono capacità linguistiche simili a quelle dei nativi.

Cosa entra in gioco nell’apprendimento di una lingua? E prima ancora che cos’è il linguaggio?

Diverse sono le teorie a suffragio della sua nascita e delle evoluzioni, dall’”apprendimento per rinforzo” dello psicologo statunitense Burrhus Skinner, alla teoria generativa di Chomsky o ancora alla teoria cognitiva - funzionalista, fatto sta che il linguaggio è il sistema utilizzato per comunicare che differenzia gli uomini dagli animali, e consiste nella competenza ad associare suoni e significati mediante regole grammaticali che variano con il mutare di ogni lingua.

Nell'apprendimento delle lingue, la memoria svolge un ruolo di primaria importanza. Lo sviluppo delle abilità linguistiche e l'acquisizione degli aspetti morfologici, sintattici e lessicali non potrebbero realizzarsi senza coinvolgere complessi processi mnestici. Inoltre, le ricerche in campo neurobiologico e psicologico hanno dimostrato come la memoria non sia una facoltà unitaria, bensì un insieme di sistemi che interagiscono tra loro. La memoria cosiddetta “implicita” è quella che ci permette di imparare a camminare, ad articolare suoni, andare in bicicletta, a guidare un’automobile, indipendentemente dalla nostra consapevolezza. (Franco Fabbro, Il Cervello Bilingue, Casa Editrice Astrolabio, 1996).

La memoria implicita ci permette, quindi, di comprendere, parlare, acquisire una lingua in maniera automatica e fluente, giocando un ruolo fondamentale e le conoscenze memorizzate nella memoria implicita sono utilizzate in forma automatica e migliorano con la pratica.

Quindi è solo una questione di memoria? E il talento?

Tornando alla nostra domanda “perché mio figlio non è portato per le lingue straniere?”, la risposta non può essere né univoca né universale.

Fondamentali per l’apprendimento di una lingua straniera sono le possibilità che il bambino ha di poterla usare e l’ambiente circostante che ne deve favorire l’esposizione più frequente possibile.   

E ancora: ogni persona, e quindi ogni bambino, nasce con caratteristiche fisiche, intelligenze, caratteri diversi e unici. Ognuno di noi possiede doti e talenti che devono essere riconosciuti e soprattutto promossi e coltivati con dedizione e con pratica quotidiana, se si desidera ottenere risultati più che soddisfacenti.  Tutti i bambini apprendono la propria lingua madre e tutti i bambini possono imparare una lingua straniera, ma diversi sono i fattori che ne determinano la buona riuscita:  l’ambiente, come abbiamo già detto, la pratica, i gusti e gli interessi, la motivazione (definita da Gardner come “la misura dell’impegno o dello sforzo che un individuo mette nell’apprendere una lingua a causa di un suo desiderio o della soddisfazione provata in tale attività”, H. Gardner, 1985: 10, cit. in Gabriele Pallotti, La seconda lingua, 1998, p.212), i tempi personali di apprendimento e last, but not least, il carattere: ci sono bambini più introversi e bambini estroversi, bambini che hanno sempre voglia di raccontare e altri più silenziosi, ma non per questo meno bravi o portati.

La capacità linguistica rientra in quelli che chiamiamo talenti. Tutti impariamo a parlare se ce lo insegnano, a leggere e a scrivere, ma non tutti abbiamo il dono della scrittura poetica, della narrazione o dell’oratoria”,  Traute Taeschner, Professore Ordinario di Psicolinguistica Evolutiva presso La Sapienza Università in Roma.

  

A cura della Dott.ssa Micaela Di Leone
Esperta in Glottodidattica Infantile


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